lunedì 23 aprile 2012

Aneddoto. #Tempo

Sono sveglio. Poco cosciente, ma sveglio.
Ho delle cose da fare, stando da solo, non posso incaricare nessun altro se non me stesso.
Penso.
Penso che non tutto stia andando per il verso giusto. Ma, pazienza. Le cose prenderanno il loro giusto corso, prima o poi.

Mi infilo le mie All Star, su jeans chiari, un po' usurati e strappati in diversi punti; la primavera è iniziata da un mese, mi chiedo come cazzo possa essere possibile che faccia ancora così freddo. Decido di fottermene e di sfidare la sorte...metto una t-shirt nera sotto una camicia a maniche lunghe, a quadretti bianchi e blu,  e vado. Esco.

Sono in un'altra realtà, la vivo da non so quanto, ma non riesco ad abituarmici; è un movimento continuo, un formicaio di persone, nessuno guarda in faccia nessuno, nessuno parla, nessuno sorride, tutti hanno da fare, nessuno si sofferma ad apprezzare uno spiraglio di sole dopo una settimana di pioggia; anche le formiche in macchina, comunicano solo con il clacson o con un bel dito medio sporgente dal finestrino.

Io sono a piedi, il market non è poi così lontano, un paio di centinaia di metri, ad occhio.
Intanto continuo ad osservare: alle volte in un paio di centinaia di metri si riescono a vedere molte più cose di quante se ne possano immaginare. Il sole è quasi tramontato del tutto, e in questa strada, tutto si muove.
Vedo.
Osservo.

Passo davanti ad una vetrina in azzurro specchiato, "Solarium", mi intravedo nel riflesso, non riesco a vederne l'interno. Sarà uno di quei posti gestiti da belle ragazze orientali; sì, quei posti nei quali aggiungendo qualche decina di euro sulla tariffa, si potrebbe usufruire anche di un pompino agli oli profumati. Lì davanti, nell'auto parcheggiata, un signore sulla cinquantina: capelli brizzolati, calvo in centro, decisamente in sovrappeso, fronte unta, vestito color marrone-terriccio-secco: un mix tra un avvocato di cause perse e un supplente di religione, fede al dito. Starà aspettando il suo momento di gloria.

Dall'altro lato della strada, altre formiche che camminano in tutte le direzioni: passo rapido, tutti hanno da fare, nessuno sta cazzeggiando. In mezzo a questa ragnatela di persone, il classico, invisibile mendicante. Chiede qualche spiccolo. Le ginocchia; povere ginocchia. Sarà fermo in quella posizione da ore, con la testa volta verso l'asfalto. Invisibile. Scansato. Scavalcato.

Tanta gente chiusa in un bar. Entro a prendere un caffè. Noto che la maggior parte della gente è sicuramente in andropausa.
Bar: basta mettere una ragazza di bella presenza per avere sempre un tipo di clientela fissa. Immagino l'annuncio del proprietario: "Cercasi ragazza per bar; necessario un bel culo, un viso carino e tanta predisposizione nel far credere al cliente maschio e rincoglionito che assieme al caffè si potrebbe allegare una palpata all'uccello.".
Pago profumatamente un caffè che non vale neanche la metà del suo prezzo, ignoro lo scontrino sul banco, esco. Accendo la mia sigaretta.
Proseguo.

Cristo, più tempo passo fuori da casa, più non vedo l'ora di tornarci.
Ma ho da fare, ho bisogno di altro tempo.
Penso che anche il tempo sia infame. Traditore e meschino, colpisce quando meno te lo aspetti: quando credi di aver aspettato una vita, ma in realtà, solo pochi minuti; quando credi che il divertimento sia appena iniziato, ma in realtà è già finito, e stanno andando via tutti, e tu resti da solo. Ah il tempo...a volte lo vedo passare così veloce. Non mi occorre guardare il mio schifo di Fossil con tanta di scheggiatura sul quadrante; lo vedo passare, come se fosse una persona, che fa più volte il giro attorno a me; passo d'uomo. Mi fissa.

Entro nel market. Anche qui le piccole formiche laboriose si muovono: di tutte le taglie, di tutte le età, di tutte le etnie. Mi ritrovo nel reparto bibite. Ho sete. Avrei voglia di aprire una Heineken in lattina e berla tutta d'un sorso. Prendo un paio di bottiglie d'acqua, non mi soffermo a decidere la marca. Prendo una birra in vetro da 66cl. L'anziana signora con capelli bianchi e fondi di bottiglia al posto degli occhiali decide di cedermi il suo posto in cassa: sarà il primo accenno di calore umano che sento da quando sono uscito, circa mezz'ora fa. Ringrazio. Pago. Esco.

Mi incammino verso casa con il mio nuovo bagaglio in plastica che sembra stia per rompersi da un momento all'altro. Nulla è cambiato dal tragitto di andata, il signore in macchina è ancora lì, così come lo è il barbone-mendicante, così come lo sono tutte le formiche a piedi e in macchina che affollano le strade e i marciapiedi. Non faccio in tempo ad elaborare un pensiero. Sono già arrivato a casa. Salgo le scale. Quattro giri di chiave e sono dentro. Poso il mio sacchetto semirotto.

Mi dirigo sul balcone, guardo dal primo piano tutto il mondo esterno che pochi secondi prima mi circondava. Tutto in moto, tutto frenetico.
Il Tempo. E' la cosa più preziosa che abbiamo. Nessuno si rende conto di come stia passando veloce. Nessuno si sofferma. Nessuno lo rallenta. Tutti ne abusano. Sono sicuro che presto o tardi qualcuno se ne renderà conto, e darà il giusto valore a quelle lancette, o a quel display.
Il nostro tempo e il tempo di Dio non vengono misurati con lo stesso orologio, diceva un certo Charles Spurgeon.

Cazzo, Dio dovrebbe darci l'indirizzo del suo orologiaio.

Apro la mia birra. Bevo.
Torno alle mie cose.

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